PARADIGMA
*Psicologo,
Ricercatore presso la Divisione di Psicologia dell’Istituto Nazionale dei
Tumori di Milano
Traccia
della lezione del dott. Paolo Boeri* tenuta al Corso di Psiconcologia
della Scuola
Scopo
dell’articolo
Mi
propongo di esplorare ora alcuni aspetti del rapporto tra un processo (o
una serie di processi) che riguardano il corpo ed un processo (o una serie
di processi) che riguardano la psiche.
Qui,
il processo organico è lo sviluppo del tumore, quello mentale riguarda le
ipotesi che sono state fatte e si stanno facendo sull’eventuale
correlazione tra la nascita e lo sviluppo del tumore e una serie di
fenomeni o di stati di natura psicologica.
Premessa
"Dottore,
ma è vero che mi è venuto il cancro perché non sono mai stata affettuosa
con i miei familiari"? Questa domanda, rivoltami poco tempo fa da
una signora di mezza età con carcinoma mammario, assomiglia a tante altre
che i miei colleghi della Divisione di Psicologia dell’Istituto dei
Tumori ed io ci sentiamo rivolgere con frequenza crescente.
Chi
pone (e si pone) domande di questo genere è spesso angosciato da una
serie di possibili risposte che, troppo spesso, persone senza scrupoli
(tra cui, duole dirlo, anche colleghi psicologi) hanno insinuato loro
senza preoccuparsi dell’impatto che determinate ipotesi di studio,
magari spettacolarizzate e fatte passare sbrigativamente come dati
acquisiti possono avere sulla psiche di un malato oncologico, spesso
già provata dalle conseguenze del male e dei trattamenti correlati. Sono
persone che si trovano in uno stato d’animo in cui si mischiano paura,
curiosità, perplessità, sensi di colpa e confusione, proprio in un
momento in cui avrebbero innanzitutto bisogno di serenità e di chiarezza.
In
altri casi, si tratta invece, più semplicemente, di persone culturalmente
vivaci, libere da malattia, che hanno letto qualche libro o qualche
articolo su riviste di divulgazione scientifica, visto qualche
trasmissione televisiva, ascoltato conferenze, e che vorrebbero saperne di
più su questo argomento.
Da
qui nasce la mia idea di estrarre qualche spunto da una delle lezioni del
Corso di Psiconcologia organizzato dalla nostra scuola PARADIGMA per gli
Psicologi, così da poter provare a contribuire a fare un po' di chiarezza
risolvendo qualcuno degli equivoci tra quelli più frequentemente
riscontrati nel contatto quotidiano con i pazienti oncologici e con i loro
familiari.
Uno
sguardo alla Storia
L’idea
che il cancro si possa correlare allo stato psichico di un individuo è
antica: di solito, i manuali sull’argomento partono dal secondo secolo
d.C., ovvero dalla teoria umorale di Galeno, secondo il quale le
donne di umore melanconico avrebbero maggiori probabilità di
sviluppare il carcinoma mammario di quelle di umore sanguigno.
All’origine della patologia vi sarebbe dunque uno squilibrio umorale
che coinvolge l’intero organismo, e che va curato con azioni
riequilibranti generali, per es. con diete e salassi.
Una
teorizzazione di questo tipo persiste nella sua sostanza per secoli e
secoli, più o meno fino al 1700, quando l’innovazione medico-chirurgica
e tecnologica - si pensi solo all’introduzione del microscopio come
strumento di indagine- concentra sempre di più l’attenzione
sull’aspetto cellulare dello specifico organo colpito dal cancro,
perdendo gradualmente di vista la considerazione dell’organismo nella
sua globalità.
Con
tutto ciò, interessanti riferimenti al possibile influsso della mente, o
di eventi negativi accaduti nel passato del malato - con
particolare riguardo alla perdita di persone care -sull'insorgere
del cancro, continuano ad apparire di frequente anche in trattati
considerati di grande autorevolezza in campo medico, lungo gli interi
secoli diciottesimo e diciannovesimo.
Poi,
gradualmente, la concezione materialistica e la visione dicotomica
dell’essere umano –mente da una parte e corpo
dall’altra- arrivano a guadagnarsi stabilmente il dominio della scena:
tutto ciò che appartiene alla sfera del mentale - in primo luogo
pensieri ed emozioni- alla scienza medica semplicemente non interessa più,
perché non ha un substrato organico sicuramente rintracciabile, cioè visibile
e misurabile. Cosi’, a mano a mano che ci si addentra nel nostro
secolo, le osservazioni sulle connessioni tra stati psicologici e cancro
si rarificano fino a scomparire dai trattati, mentre la visione di medici
e chirurghi si concentra sempre di più a livello locale, sull’organo
malato, nei confronti del quale i continui progressi in campo chirurgico -
favoriti tra l’altro dallo sviluppo delle tecniche di anestesia, che
rendono fattibili interventi prima improponibili - chemioterapico,
radioterapico, alimentano speranze - ed illusioni - crescenti.
Nel
frattempo, però, questa stessa dicotomizzazione favorisce anche
l’affermazione della Psicologia come disciplina autonoma, con il suo
tentativo di ricavarsi, faticosamente, un posto tra le Scienze degne di
piena rispettabilità. Così, sul terreno abbandonato per mancanza di
interesse dai medici e chirurghi oncologi, trovano posto per es.
autorevoli psicoterapeuti, come Elida Evans, che riprende ed
evidenzia nel 1926 il tema della perdita affettiva grave come
antecedente del cancro.
Dalla
metà del secolo, l’ascesa della medicina psicosomatica intende
rappresentare, in generale ed al di là delle specificità delle sue
molteplici espressioni, un tentativo scientificamente fondato di riportare
l’attenzione sul concetto di mente-corpo ri-considerati come elementi di
una globalità.
Oggi
possiamo identificare varie direzioni di sviluppo nello studio del
rapporto psiche/origine del cancro: ne sonderemo alcune, con
l’avvertenza che dobbiamo abituarci a pensare, fin dall’inizio, non a gabbie
chiuse e separate tra di loro, ma a modelli dai confini molto
elastici ed intercomunicanti in modo più o meno assiduo e fecondo.
Dallo
stress alla psiconeurobiologia
Per
rispetto se non altro al ruolo centrale occupato nel filone di ricerca di
cui ci stiamo occupando in questa sede ed al conseguente volume di
materiale pubblicato, non possiamo non partire dall’esame del ruolo
dello stress.
Questo
protagonista della nostra epoca, di cui tanto si parla - anche a
sproposito - e che viene tirato in ballo per dar ragione di quasi tutti
gli accidenti che capitano nella vita –dovunque infatti si sente
risuonare l’invito a rilassarsi, ed entrando in una qualsiasi libreria o
negozio di dischi si notano interi scaffali dedicati a manuali e a CD di
tecniche di relax- ebbene, questo stress c’entra qualcosa anche con
l’origine del cancro ?
L’evidenza
quotidiana ci mostra già che ciascuna delle tappe in cui si articola il
rapporto di un paziente con il tumore, dai primi sospetti, alla
comunicazione della diagnosi, all’impatto dei trattamenti, al timore di
ricadute, alla gestione delle prognosi infauste.....tutto ciò costituisce
fonte di stress, che si manifesta in varie forme e a vario livello.
Quel
che ci si chiede ora è se, in qualche modo, questo rapporto vale anche
all’inverso, cioè se l’essere costantemente stressati può
predisporre in qualche modo alla malattia oncologica. In prima battuta
sembrerebbe di sì, anche se un esame appena più approfondito della
questione rivela che il rapporto stress/cancro è assai complesso.
Innanzitutto,
vediamo di stabilire a che cosa ci riferiamo con il termine stress:
immaginiamo che una persona ci stia raccontando la sua vita, e ipotizziamo
di poter rappresentare questo racconto in forma di tracciato grafico, che
rappresenti l’andamento della vita, via via che essa si svolge
attraverso le parole, le pause, la gestualità del narratore. Avremmo una
lunga linea con i suoi alti e i suoi bassi, con ampi tratti in
piano e tratti più frastagliati. Chi, tra i lettori di queste
note, segue con una certa regolarità nel tempo sulle pagine finanziarie
dei quotidiani l’andamento degli indici delle Borse non avrà difficoltà
a capire a quale tipo di tracciato si stia accennando.
Lo
stress lo possiamo visualizzare come uno di quei punti in cui si verifica
un brusco cambiamento di tendenza di questa linea. A tale punto, di
solito corrisponde, nel racconto del paziente, il ricordo di un evento, di
qualcosa di importante che ad un certo momento si è verificato, in
modo più o meno inatteso e che ha lasciato il segno nel seguito della
storia della vita di quell'individuo.
Non
necessariamente deve essere un evento clamoroso: può trattarsi di
un insieme ravvicinato di piccoli ma significativi mutamenti di rotta,
a ciascuno dei quali, preso singolarmente, sul momento si è fatto poco
caso. Non necessariamente ci deve essere piena consapevolezza della
capacità di questi eventi di sconvolgere i propri schemi abituali di
riferimento: a volte, anzi, tale capacità viene riconosciuta solo a
posteriori, magari solo dopo qualche riflessione ed elaborazione dei
propri vissuti.
Di
fatto, quello sbalzo nel tracciato grafico, quale che sia il carico di
emozioni che ad esso si correla, viene immediatamente colto e registrato
dal sistema nervoso; da qui, partono una serie di stimoli che coinvolgono
l’intero organismo, e ne modificano il funzionamento.
Una
delle prime, sistematiche descrizioni di ciò che succede in questi casi
la dobbiamo al canadese Hans Selye; due sono i contributi
fondamentali portati da questo ricercatore alla conoscenza dello stress in
una serie di studi condotti nei primi decenni del secolo:
innanzitutto,
egli sostenne che lo stress non va sempre e necessariamente inteso come
un evento negativo. Anzi, la rottura di un preesistente stato di
equilibrio, e la conseguente reazione fisiologica innescata, sono
l’indispensabile premessa per consentire l’azione dei processi
adattativi all’ambiente. In un mondo privo di eventi stressanti,
possiamo aggiungere, non avrebbe senso parlare di meccanismi di
adattamento e, più in generale, di possibilità di evoluzione, e
di crescita, in senso sia biologico che più strettamente
psicologico. Occorre allora distinguere tra uno stress
"buono", (eustress), funzionale all’incremento della
capacità di adattamento del singolo a fronte di mutamenti del suo
ambiente, ed uno stress "cattivo" (distress), che provoca
l’annientamento dell’individuo che soccombe al mutamento.
Secondo
Selye, possiamo riconoscere l’eustress dal distress, ovvero lo stress fisiologico
da quello patologico, in quanto il primo attiva una risposta
facilmente reversibile e non quantitativamente eccessiva, mentre il
secondo, viceversa, induce una risposta irreversibile, in quanto
sproporzionata e troppo prolungata nel tempo rispetto alle effettive
risorse dell’organismo che è chiamato a sostenerla.
In
che cosa consiste tale risposta ? Questo è il secondo fondamentale
contributo portato da Selye: egli dimostrò che qualunque stressor (ovvero
"fattore che induce stress") attiva una risposta fisiologica ben
determinata, che è stereotipata e costante.
Tale
risposta è di tipo neuroendocrino e si traduce nella pronta attivazione
dell’asse ipotalamo-ipofisi-surrene, con conseguente rilascio di un
"Corticotropin Releasing Factor" (CRF) ipotalamico, che a sua
volta determina, tra l’altro, la liberazione di ACTH dall’ipofisi e,
quindi, di ormoni -cortisolo e adrenalina- della zona corticale e
midollare del surrene.
Così,
si inducono importanti modificazioni nei processi metabolici, che portano
all’aumento del tasso glicemico, della gittata e della frequenza
cardiaca, e del flusso venoso. A fronte della comparsa di uno stressor
(fame, sete, freddo, scossa elettrica, ecc.) l’organismo reagisce quindi
in modo tale da poter avere a disposizione una ingente quantità di
energia nel breve termine. Tale energia servirà proprio per fronteggiare
lo stressor. L’ACTH ipofisario, per di più, ha di per sé stesso un
effetto sul sistema nervoso centrale che si traduce in incremento delle
capacità di concentrazione e di attenzione.
E’
come se la persona o l’animale, cogliendo la presenza dello stressor, si
mettesse in allarme, chiamando a raccolta le proprie risorse
energetiche per affrontare al meglio la battaglia contro lo stressor.
Selye definì questa prima parte della risposta, per l’appunto, fase
di allarme.
Se
il fattore di disturbo persiste, l’organismo entra nella fase di
adattamento, nella quale si produce il massimo sforzo in termini di
attivazione neuroendocrina per far fronte alla rottura dell’equilibrio
omeostatico che l’irrompere dell’evento stressante ha comportato.
Se,
nonostante tutto ciò, lo stato di equilibrio non si ricompone e quindi
l’adattamento non si verifica, a quel punto l’organismo soccombe
(terza fase, detta di esaurimento). La lotta contro lo stressor è
perduta e l’organismo (animale o uomo), non potendo reggere a lungo uno
stato di profonda alterazione dei propri parametri vitali, muore.
Questo
modello di reazione allo stress in tre fasi, quindi, agisce in funzione
della durata temporale dello stressor. Una volta attivata, la reazione
procede necessariamente, secondo Selye, nel senso della progressione or
ora delineata.
Nei
decenni si sono via via accumulate molteplici osservazioni che hanno
arricchito il quadro proposto da Selye sul piano neuro-fisiologico e ne
hanno impietosamente evidenziato i limiti sul piano più strettamente
psicologico, ferma restando la validità di fondo della distinzione eustress/distress,
ancora oggi generalmente accettata.
Si
tratta infatti di una teorizzazione evidentemente troppo rigida e
stereotipata, che, nata sulla base di una serie di scrupolose
sperimentazioni condotte su animali da laboratorio, non può di per sé
essere calata tal quale nella realtà del mondo soggettivo di un essere
umano.
Immaginiamo
la giornata-tipo nostra o di un qualsiasi nostro contemporaneo: se, a
fronte degli innumerevoli stimoli stressanti di varia natura cui siamo
sottoposti, si dovesse tutte le volte attivare l’intera sequenza sopra
descritta, pochi, tra noi avrebbero superato la soglia dell’adolescenza!
Fortunatamente,
diversamente da quanto postulato da Selye, l’evidenza ci suggerisce –e
vari studi lo confermano- che persone diverse, esposte allo stesso
stimolo, reagiscono in modo anche molto diverso, sia sotto l’aspetto
della risposta fisiologica che sotto quello del vissuto psicologico.
E’
chiaro, quindi, che tra la comparsa in scena dell’evento potenzialmente
stressante e l’attivazione neuroendocrina ci deve essere qualcosa in
mezzo: su questo qualcosa hanno indagato in maniera
approfondita gli psicologi della scuola Cognitivista, scoprendo che si
tratta, in sostanza, di valutazioni che ci permettono di
classificare in qualche modo l’evento inatteso. Così, ciascuno di noi,
non è esposto ad ogni stimolo esterno in modo passivo, ma si trova come a
dover filtrare costantemente tutto ciò che gli capita. Questo
processo di valutazione cognitiva, che ci accompagna per tutta la vita in
ogni momento della giornata, ci permette di attribuire un significato
a ciascuno stimolo che entra nel nostro campo percettivo. In relazione al
tipo di significato che ciascuno stimolo viene così ad assumere, risulterà
attivata, o non attivata, una risposta di stress di entità e durata
diversa, e vi saranno diverse e personali combinazioni di emozioni
provate.
Insomma,
c’è un ampio lavoro cognitivo che agisce da mediatore della reazione
biologica e comportamentale: la risposta allo stress è un processo attivo,
soggettivo, tutt’altro che automatico e mai identico a sé
stesso. Ci può essere una attivazione sul versante fisiologico che
viaggia su una serie di binari pretracciati – peraltro molto più
complessa di quella che aveva potuto immaginare Selye- ma sul versante
psicologico c’è una interpretazione dello stimolo che è rigorosamente
soggettiva, tanto che il cognitivista Singer arrivò a definire lo
stressor come un vero e proprio costrutto mentale, prescindendo
quindi dalle sue caratteristiche, per così dire, fisiche.
Una
ulteriore, e decisiva, elaborazione su questo percorso si ha con
l’accentuazione dell’importanza della fase cosiddetta di coping:
questo termine inglese lo prendiamo nel suo significato di far fronte
a…, che è un qualcosa di diverso dal semplice adattarsi a…,
in quanto implica una ristrutturazione attiva e sistematica degli schemi
cognitivi che è quel che ci permette, quando è efficace, di
riconsiderare l’evento stressante da un altro punto di vista.
Noi
vediamo che, a fronte di uno stesso evento stressante, per es. una
diagnosi di tumore, individui simili per molti aspetti, (sesso, età,
situazione socio-familiare, tipo e stadio del tumore, tipo di terapia
proposta), reagiscono in modo molto diverso: c’è chi si dispera, chi si
richiude in sé, chi diviene iperattivo, chi riorganizza razionalmente la
propria vita, chi si mette ad odiare tutto e tutti, chi abbraccia una
Fede, ecc. .
In
sostanza, ciò che differenzia ciascuno nella reazione al medesimo
stressor è proprio lo stile di coping, ovvero il modo di porsi di
fronte all’evento, nel quale convergono, tra l’altro, il
significato attribuito all’evento stesso, le aspettative
generate da esso, la valutazione delle proprie risorse a fronte di
esso, le tracce lasciate da esperienze simili in passato, le
disposizioni all’azione nei confronti di esso.
A
questo punto, rispetto all’eustress o distress di Selye,
ha più senso parlare di coping efficace o inefficace,
volendo con ciò ribadire che abbiamo spostato l’accento dalle caratteristiche
dell’evento stressante al modo che ciascun individuo ha di
affrontare tale evento.
Psicologicamente,
uno stile di coping risulta efficace, in senso lato, se la persona riesce
a ricostituire il proprio equilibrio emotivo, precedentemente alterato dal
fattore di stress. Sul versante fisiologico, l’efficacia risiede nella
riduzione della frequenza e dell’intensità della risposta
neuroendocrina indotta dallo stressor.
L’evoluzione
degli studi sullo stress sugli umani sposta quindi decisamente l’accento
dalla "carica stressogena" degli eventi (connotate da fattori
quali intensità dello stimolo e sua durata nel tempo), alla
"connotazione qualitativa" data dal singolo soggetto
all’evento, processo quest’ultimo che è a sua volta sicuramente
influenzato dal far parte di una determinata cultura.
Sul
versante del correlato fisiologico dello stress, cosa possiamo
aggiungere rispetto all’"asse" proposto da Selye ?
In che modo
tutto ciò si collega alla genesi del cancro ?
Tanto per cominciare, l’asse
ipotalamo-ipofisi-surrene, si è allargato fino a comprendere una
lunga serie di mediatori biologici dello stress (etichetta alla
quale afferiscono strutture del sistema neurovegetetivo, del sistema
endocrino, del sistema immunitario e del sistema nervoso centrale).
Particolarmente
interessante, in prospettiva oncogenetica, è ovviamente la relazione tra
stress, e funzionalità del sistema immunitario.
Se
è vero, e per la maggior parte dei ricercatori lo è, che nella genesi
del cancro interviene pesantemente una qualche forma di inefficienza
del sistema immunitario - che non sarebbe tempestivo nel riconoscere e
neutralizzare colonie di cellule profondamente alterate- allora un
qualunque fenomeno che mostri di interferire con la piena funzionalità
del sistema immunitario va considerato con la massima attenzione. Ebbene,
la risposta allo stress è uno di questi fenomeni.
Riportiamo
soltanto due citazioni sperimentali, tanto classiche quanto clamorose, che
vengono descritte più estesamente al Corso: la prima riguarda l’effetto
di immunodepressione dei vedovi: l’efficienza della risposta
immunitaria è risultata significativamente ridotta in uomini che avevano
perso la moglie qualche settimana prima dell’esperimento (condotto per
la prima volta dal gruppo di Lazarus nel 1977).
La seconda, condotta dieci
anni dopo dall’équipe di Irwin e Bloom su donne da poco fortemente
traumatizzate, conferma i risultati della prima.
Un
ulteriore spunto di esplorazione in questo campo, che è definito psico-neuro-immuno-biologico
- ed è uno spunto di particolare fascino - ci porta ad ipotizzare che
alcuni neurotrasmettitori attivati da eventi stressanti entrino in gioco
nell’attivazione di specifici protoncogeni (ovvero dei precursori di
quei "geni impazziti" che hanno un ruolo fondamentale nella
genesi del cancro).
Lo stress sarebbe allora capace di influenzare eventi
fino all’interno del nucleo cellulare......Insomma, esso produrrebbe ben
altro che una impennata nei tassi ematici di qualche ormone....
La
"Personalità da Cancro"
Una
legittima domanda che ci si pone da secoli (vedi Galeno) è: esiste una
configurazione (pattern) di tratti psicologici che predisponga al
tumore più di altre ? E’ cioè individuabile una personalità da
cancro ?
Tra
i molti tentativi di dare una risposta seria (soprattutto, non
semplicistica) a questa domanda, vogliamo soltanto citare il consistente
sforzo compiuto all’inizio degli anni ’80 da un gruppo di ricercatori
europei (Morris, Greer, Grossarth-Maticek, Temoshok) che si è
concretizzato nella identificazione di una particolare cancer-prone
personality definita "Tipo C".
Questo
"Tipo C" sta all’estremo di un ipotetico continuum occupato
dall’altra parte da quello che alla fine degli anni ’50 altri
ricercatori, in contesto non-oncologico, avevano denominato "Tipo
A" (o "Coronary-prone personality").
Come
questo "Tipo A", che sarebbe predisposto alle malattie
cardio-circolatorie, è caratterizzato da tratti marcati e costanti di
aggressività manifesta, competitività, ambizione, scarsa competenza nel
riconoscimento e nella gestione delle emozioni –le quali vengono
bruscamente e frettolosamente da lui scaricate all’esterno-
scarsa attitudine all’introspezione, ecc., così il "Tipo C",
che avrebbe maggiori probabilità di andare incontro al cancro rispetto
alla media della popolazione, è conformista, aderente alle norme in modo
acritico – la sua adesione non avviene cioè per convinzione sulla
giustezza delle norme, ma per la paura della disapprovazione sociale
connessa alla loro infrazione - scarsamente assertivo, con un "locus
of control" posto al di fuori di sé.
Possiamo
immaginarci i due tipi (i cui profili sono stati semplificati per finalità
espositive), nella gestione delle comuni relazioni quotidiane, per esempio
sul luogo di lavoro: l’uno - il "Tipo A" – è iperattivo,
sempre pressato da urgenze, autoritario/paternalista, incline a sfoghi
d’ira e a repentini cambi di umore, l’altro – il Tipo C - è sempre
in cerca di approvazione, sottomesso, poco reattivo e
"defilato".
In
sostanza, che cosa agirebbe di caratteristico il "Tipo C" così
da essere maggiormente predisposto al cancro ?
Un bell’esperimento di
Temoshok, realizzato una ventina di anni fa, che viene descritto nella
lezione del Corso, ci permette di capirlo chiaramente.
Per
il nostro scopo attuale, possiamo sintetizzarne la conclusione riportando
che il "Tipo C" tende a reprimere costantemente l’espressione
delle sue emozioni - soprattutto di quelle socialmente sconvenienti,
quindi rabbia e aggressività in primo luogo- di cui però è
intimamente consapevole: egli prova rabbia, la riconosce come tale,
ne soffre, ma è inibito nel lasciarla uscire, nel dirigerla verso
un oggetto o una persona del suo ambiente. Questa repressione si
tradurrebbe in una troppo ripetuta iperattivazione del suo sistema
neurovegetativo, la qual cosa, secondo le teorizzazioni sullo stress viste
sopra, porterebbe alla lunga ad una compromissione dell’efficienza della
risposta immunitaria.
Come
un tipo C è diventato tale ? Una pesante responsabilità sarebbe da
attribuirsi alle figure genitoriali: dalle storie di vita di molti
pazienti "Tipi C" emergono profili di genitori freddi,
indifferenti, conformisti e fortemente inibitori nei confronti della
spontanea espressione emozionale dei figli.
Quali
commenti si possono fare a margine di queste teorizzazioni sul rapporto
personalità/rischio di tumore ?
Rimanendo sugli studi seri, condotti da
ricercatori esperti, come quelli sopra citati, notiamo che essi hanno
ricevuto sia conferme che smentite in esperimenti ripetuti
successivamente. Resta il fatto che, se anche noi selezionassimo nella
popolazione generale un gruppo di cosiddetti "Tipi C"
perfettamente sani, non saremmo a tutt’oggi in grado di prevedere in
alcun modo quanti di loro, quali tra loro, quando ed in che modo
potrebbero – eventualmente, ad un certo momento- ammalarsi di tumore. E
anche percentuali di tal genere, ammesso che un giorno si possano in
qualche modo ricavare, in assoluto ci direbbero poco, perché andrebbero
incrociate con i tempi di esposizione di ciascun soggetto ad agenti
cancerogeni ambientali, con lo stile di vita, le abitudini alimentari, le
predisposizioni genetiche, ecc......, il tutto complicato dalla
constatazione che molto spesso la disfunzione originaria che è
all’origine del tumore precede di anni le prime evidenti manifestazioni
cliniche di esso, mentre il profilo di personalità può, in una certa
misura, essersi modificato parallelamente nel tempo intercorso.
Invertendo
il ragionamento, il contatto quotidiano con la popolazione oncologica ci
porta peraltro a constatare che si ammalano sia i "Tipi C", che
i "Tipi A", e ancora, se esistessero, i "Tipi Z", i
"Tipi Q", i "Tipi H", ecc...
Insomma,
a tutt’oggi non è possibile affermare che esiste in oncologia un
"paziente-tipo" dal punto di vista del profilo di personalità.
E il rischio di rimanere invischiati in teorizzazioni pseudo-scientifiche,
o comunque semplicistiche, in cui i concetti di causa- effetto, o di
correlazione-causalità possono essere sistematicamente confusi, è alto.
Noi
riteniamo che la fissazione di tratti individuali entro tipologie e
la loro messa in relazione causale con un evento che, fino a prova
contraria, può colpire chiunque in qualsiasi momento, rappresenti una
direzione di ricerca molto affascinante da un punto di vista concettuale,
ma comunque azzardata ed oltretutto molto rischiosa per ciò che implica.
Quello che si può senz’altro affermare è, che, anche se alcuni aspetti
della personalità fossero associati ad un maggior rischio di contrarre la
malattia, l’entità e soprattutto la natura del legame
rappresenterebbero comunque un problema di notevole complessità. Una
associazione diretta tra certi modi di essere e/o certi
comportamenti ed il cancro, sempre ammesso che esista, potrebbe essere
interpretata in vari modi: sia come rapporto di causa ed effetto
(reprimi le emozioni .... e quindi ti sei ammalato) oppure, per esempio,
come una correlazione tra due fenomeni che a loro volta deriverebbero
da un terzo fattore, che costituirebbe allora la causa vera sia
della repressione delle emozioni che del cancro.
Qualche
certezza si ha invece per quel che riguarda i rapporti indiretti,
come quelli che associano certe caratteristiche del profilo psicologico
a taluni comportamenti a rischio per il cancro: entro le categorie
dei "grandi fumatori" come dei "grandi bevitori" si
possono riscontrare tratti del profilo - ricollegandoci alle teorie dello
stress/coping, potremmo parlare di stili di coping - che
differenziano questi soggetti rispetto a coloro che non sono
nicotina-dipendenti o alcool-dipendenti. Si tratta di persone che, a causa
di tali caratteristiche, sono indubbiamente più esposte di altre
all’abuso di fumo ed alcool: e il rapporto di causalità fumo/cancro al
polmone, ad esempio, è ormai ragionevolmente provato.
Ecco
allora che, per questi soggetti, il fatto di riuscire ad elaborare uno
stile di coping alternativo, che permetta, ad esempio, di fronteggiare
responsabilmente un problema della vita senza più doverlo eludere
annegandolo nell’alcool, potrebbe divenire un efficace strumento per
poter tradurre nel concreto quel concetto di prevenzione anti-cancro
di cui tanto si sente parlare.
Così,
facendo un passo indietro, il rendersi conto, per un cosiddetto "Tipo
C", che può divenire possibile, e del tutto legittimo, esprimere la
propria aggressività e la propria tristezza, imparando a canalizzarle
verso l’esterno in modo costruttivo invece di farsi divorare dentro
da esse, forse gli permetterà di ridurre i rischi di insorgenza di varie
patologie, oltre che dello stesso cancro, o forse no: nel frattempo, però,
anche in questo caso la modifica del proprio stile di coping
migliorerà sicuramente la qualità dei rapporti con gli altri e della
vita in generale.
Per
saperne di più......
Molti
manuali che trattano argomenti di interesse psiconcologico dedicano ampio
spazio alle teorie psicologiche sull’origine del cancro. Si vedano per
es., in lingua italiana:
-
Fornari:
"Affetti e cancro" – Cortina, 1985;
-
Biondi,Costantini,Grassi:
"La mente e il cancro" – Il Pensiero Scientifico, 1995;
-
Chiari,Nuzzo:
"La ricerca psicologica sul cancro" – Angeli, 1992;
-
Pancheri,
Biondi: "Lo stress", in "Trattato Italiano di
Psichiatria" – Masson, 1994.
Tratto da:
http://www.qlmed.org/Paradigma/boeri.htm
Bibliografia
e letture raccomandate:
- ABRAHAMSON,
E.M., AND PEZET, A.W. “ Body, Mmd and Sugar “, New York; Avon
Books, 1977.
- ADAMS,
RuTH, “The complete Home Guide to All the Vitamins “, New York;
Larchmont, 1972.
- AGUILARN
NONA, “ Totallv Natural Beauty “, New York; Rawson Associates
Publisher, 1977
- BuRTON.
BENJAMIN, “Human Nutrition 3~ ed., New York; McGraw-Hill, 1976.
- FREDERICKKS,
CARLTON, “ Psvcho Nutrients “, New York; Grosset and Dunlap, 1973.
- GOODHART,
RBERT S., and SHILLs, MAURICE E., “Modem Nutrition in Health and
Disiase” 5 ed., Philadelphia; Lea and Febiger, 1973
- GRAEDON,
JOE, “ The Feople’s Phartnacy ‘, New York; St. Martins Press,
1976.
- LUCAS,
RICHARD, “Nature’s Medic~nes “, New York; Pretice — Hall,
1965.
- ELI
G. JONES, “Cancro sue cause, sintomi e trattamento “,De Ferrari
Editore S.r.l., Genova, 1991
- F.
P. IACCARIN0, da “ Terapia Medica con Melatonia “, Ed.
Euromeeting; Torino, 1998.
- I.
D. BARGIS, “Dire, Fare, Guai-ire” , Ellin Selae, Murazzano, 1999.
- M.
PANDIANI, “ Mutrizione Applicata “, Tecniche Nuove, Milano, 1989
- V.
BELCASTRO, “ Come ho vinto il Cancro con terapie naturali”,
Hermes; Roma, 1993.
- M.
BIZZARRI, “La Mente ed il Cancro “, Frontiere; Milano, 1999.
- ROSSII
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- BURNET
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- DANIELE
D. “Chi è felice non s’ammala “, Mondadori; Milano, 1993. P.
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- ROSEMBERG
S. A., “ La Cellula Trasformata”, Mondadori; Milano, 1994.
- BIZZARRI
M. e LAGÀNÀ A. “Il tramonto del Tumore “. Errebian Ed.; Roma,
1991.
- ECCLES
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“ The Spontaneous Regression of Cancer “, Philadephia, Penn.,
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Milano, 1995.
- LOCKE
5., and COLLIGAN D.” Il Guaritore Interno “, Giunti; Firenze,
1990.
Commento
NdR:
anche
se
rispettiamo
ed
indichiamo
tutte
le
possibili
terapie
naturali
per
ogni
malattia,
anche perche'
le
reazioni
ad
ogni
tipo
di
terapia
sono
diverse
da
soggetto
a
soggetto,
vogliamo
ricordare
che
anche
il
cancro
come
qualsiasi
altra
malattia
nasce
in
"luoghi"
ben
precisi
e
quindi
ogni
malattia
ha
le
sue
Cause,
con
Cause
secondarie
e
terziarie. Leggere
la
tesi
su
Cancro
e
Medicina
Naturale
+
Terreno
Oncologico
+
Conflitti Spirituali
+
Come fare i clisteri di acqua basica
Il Cancro nasce in sintesi
e secondo la
Medicina naturale,
perche' l’organismo del canceroso e'
intossicato,
e la
microcircolazione,
nei
tessuti
intossicati, viene ad essere alterata, producendo, a valle di essa,
nelle
cellule
dei
tessuti investiti da quel processo: malfunzione
cellulare,
(nutrimento ed eliminazione =
respirazione cellulare
alterata =
metabolismo
alterato = malnutrizione cellulare e tissutale assicurata), producendo
successivamente
infiammazione nei tessuti
e
stress ossidativo
cellulare e per caduta
immunodepressione,
e parallelamente alterazione anche del sistema
enzimatico
per la precedente alterazione della
flora batterica,
pH digestivo
non regolare (e quindi l'organismo e' mancante di
minerali
e
vitamine
ed in stato di
acidosi),
in quelle condizioni esso e' molto facilmente parassitato da certi,
parassiti,
batteri
e
funghi
(candida)
i quali producono anche tossine ed ulteriori
infiammazioni:
Ma tutto cio' e' "gestito" come Causa primordiale dai
Conflitti Spirituali
(consci ed inconsci) e dall'intenso
stress
del vissuto.
Il Cancro quindi e' una malattia MULTIFATTORIALE.
Quindi il medico, il terapeuta od il soggetto stesso DEVONO operare
seguendo la stessa strada percorsa per l'ammalamento.
Cioe' devono lavorare per
disintossicare
il malato +
disinfiammare
l'organismo ed i tessuti interessati, ripristinare il pH
digestivo,
e normalizzare le
digestioni
+ il
malassorbimento
sempre presente
nel
malato ed
eliminare
quei
parassiti, batteri e funghi, che hanno proliferato in modo
abnorme, per mancanza dei loro antagonisti +
rinforzare
il
sistema immunitario
SEMPRE
compromesso in TUTTI i malati, cancerosi compresi ed
eliminare i
Conflitti Spirituali
(quali Vere Cause) e lo
stress
esistenti, oltre a lavorare sul
metabolismo
alterato per ridurre ed eliminare lo
stress ossidativo
cellulare
e quindi quello
tissutale,
sempre presenti in qualsiasi malattia e specie nel cancro, per i danni
alla
microcircolazione
indotti dalle
intossicazioni
piu’ o meno intense.
E
tuttavia, laddove ci sia anche una piccola
volontà e speranza di vivere, un’adeguata
terapia fito-nutrizionale (NdR: anche via
endovena con soluzioni
mineral -
vitaminiche - vedi
QUI il
medico che utilizza con successo questo sistema
- l'ideale e utilizzare quelli non di sintesi chimica, ma di
estrazione naturale - assieme all'assunzione via
orale di
fermenti lattici appropriati a seconda del
paziente ed
enzimi) può rendere normale il
guarire naturalmente dal tumore, cosa che oggi
vogliono farci ritenere impossibile o puramente
miracoloso (vedi quei
medici che
alle volte preferiscono
spedire il malato a Lourdes piuttosto che
permettergli di curarsi naturalmente).
L'acidosi
e' la base fisiologica del Cancro - Il
Conflitto Spirituale Irrisolto, ne e' la Causa
primaria
Cancro = Combattere l'acidita'
per sconfiggerlo - Le ultime ricerche
Nutriterapia Biologica Metabolica x il Cancro e
non solo
+
Terapia Biologica Metabolica CRAP
+
Cura metabolica per il Cancro + Stress Ossidativo +
PREVENZIONE,
TERAPIA per il Cancro, perche' NON si vuole applicare ? + Terreno Oncologico +
Bioelettronica +
Semeiotica e Biofisica
Documenti provanti l'indispensabilita'
delle Vitamine della
Frutta e
verdura, oltre ai
sali minerali:
Doc.1
+
Doc.2
+
Doc.3
+ Doc.4
+
Doc.5
+
Doc.6
+
Doc.7
+
Doc.8
+
Doc.9
+
Doc.10 +
Doc.11 +
Doc.12 +
Doc.13 +
Doc.14 +
Doc.15 +
Doc.16 +
Doc.17 +
Doc.18 +
Doc.19 +
Doc.20 +
Doc.21 +
Doc.22 +
Doc.23 +
Doc.24 +
Doc.61
Guarisce dal
Cancro con la dieta Vegana utilizzata per 1 anno
http://informatitalia.blogspot.it/2014/12/guarisce-da-tumore-esteso-e-metastasi.html
vedi anche :
CURE
Naturali
del
Cancro
+
Documentazione
+
Protocollo G. Puccio
+
Diritti negati
+ Ricercatore
ostacolato dalla Oncologia Ufficiale + Giornale di Sicilia +
Come fare i clisteri di acqua basica +
Cancro e Medicina Naturale
+
1.000 Piante per il Cancro
+
Libro del dott. Nacci
(Italiano) + Libro
del dott. Nacci in Inglese + Condiloma eliminato con acqua
basica al Bicarbonato di Sodio +
Protocollo della Salute + Cancro +
Diagnosi precoce
|