Il
RISO, CIBO
UNIVERSALE
vedi:
Semi Antichi
salvezza della salubrità dei cibi vegetali
In Medicina Naturale suggeriamo a TUTTI di alimentarsi
seguendo le regole del
Crudismo e di rimanere quasi totalmente
vegetariani, con
predominanza
del
cereale
RISO, infatti vi è un detto antico che dice: ...il
riso fa buon sangue e non si riferisce solo al ridere....Infatti
il
RISO
è il cereale più consumato nel mondo.
vedi:
http://www.varietarisoitaliano.com/ +
http://www.enterisi.it/index.jsp
Alimento base di circa 1/3 della popolazione terrestre.
Il riso è il nome di circa 19 specie di piante erbacee
annuali, della famiglia delle graminacee, ma solo la Oryza sativa
è importante per l'alimentazione umana.
L'Oryza sativa è una pianta originaria delle regioni
dell'Asia sudorientale si dice coltivata in modo
intensivo da più di 7000 anni, come dimostrano alcuni
reperti databili intorno al 5000 a.C., ritrovati nella
Cina orientale e ad altri reperti risalenti a 6000
prima dell'era volgare, ritrovati in una caverna della
Thailandia settentrionale.
Un consiglio: meglio usare roso rosso o nero che quello
bianco, ma tutti integrali e biologici.
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Le origini del riso in Asia e la sua diffusione nel
Mediterraneo e in Italia
Origine e
Domesticazione
Il riso
asiatico (Oryza
sativa)
è originario di una vasta regione che si estendeva
dall’India orientale fino alla Cina meridionale nella
quale, agli inizi dell’Olocene, crescevano i suoi
progenitori selvatici. In quei territori, compresi nella
fascia tropicale e sub-tropicale delle piogge
monsoniche, il riso sviluppò una sorprendente
variabilità che gli consentì di colonizzare i più
diversi ecosistemi.
Il riso selvatico è ancora oggi
presente in molte aree della pianura del Gange in India,
nelle regioni settentrionali di Burma, Thailandia e
Vietnam e in quelle continentali e insulari dell’Asia
sud-orientale.
Il
processo di domesticazione ebbe luogo all’interno del
centro di origine della pianta ad opera di comunità di
proto-agricoltori i quali, dopo una prima fase di
semplice raccolta dei semi, avviarono la coltivazione
dei campi naturali di riso selvatico e, solo
successivamente, cominciarono a seminarlo. La
coltivazione del riso selvatico sfruttava la capacità
delle giovani piante di resistere al trapianto da un
campo all’altro. Questo carattere può essersi sviluppato
precocemente solo nelle regioni dove, a seguito di forti
alluvioni, i campi di riso selvatico venivano
periodicamente inondati da masse d’acqua abbastanza
veloci che erano in grado di strappare le giovani piante
di riso dal loro ambiente originario, per depositarle
più a valle, in campi melmosi, al defluire delle acque.
L’osservazione di questo fenomeno può aver stimolato
alcuni gruppi di proto-agricoltori a sfruttarlo a
proprio beneficio per ottenere campi di riso selvatico
in aree più accessibili o in terreni più vicini ai
villaggi. Questo evento potrebbe essersi sviluppato
indipendentemente e, forse, anche contemporaneamente in
più luoghi della stessa regione, per soddisfare le
necessità alimentari dei diversi gruppi umani. Le scelte
operate dai primi agricoltori, che videro nel riso
selvatico una possibile fonte alimentare, cambiarono il
destino di molte popolazioni, favorendo la crescita
sociale e culturale di quei gruppi che sul riso
fondarono la loro economia.
Coltivazione e vie di
diffusione
La
geografia dell’origine e diffusione del riso ha trovato
precise conferme cronologiche negli scavi archeologici
condotti nei villaggi preistorici e protostorici di
molte regioni dell’Asia. Nel corso degli ultimi anni,
gli archeologi hanno dedicato particolare attenzione al
recupero dei semi carbonizzati e alla ricerca d’impronte
di vegetali nella ceramica, nei mattoni o negli strati
compatti di argilla che formavano il pavimento delle
abitazioni, nel tentativo di localizzare il possibile
centro di domesticazione della pianta e le vie di
diffusione della sua coltivazione. In alcuni casi, per
individuare le tracce della presenza del riso nei
depositi archeologici, sono stati esaminati campioni di
terreno archeologico o di cenere dei focolari alla
ricerca di piccolissime particelle di silice
praticamente indistruttibili, dette fitoliti, che nella
pianta di riso svolgono compiti di particolare
importanza.
Lo studio dei reperti vegetali, semi, impronte e
fitoliti, ha permesso di accertare se i reperti
rinvenuti erano di riso selvatico o di riso domestico e,
in alcuni casi, è stato anche possibile stabilire a
quale delle tre sottospecie essi appartenevano.
È stato
così possibile stabilire che già 15.000 anni fa il riso
selvatico costituiva una importante fonte di cibo per le
popolazioni preistoriche di alcune regioni della
Thailandia, del Vietnam, della Corea, della Cina e di
alcune isole del sud-est asiatico. Sappiamo inoltre che
i più antichi resti di riso coltivato sono stati trovati
nella Cina orientale e nell’India nord-orientale e
risalgono a oltre 7.000 anni fa. Le prime testimonianze
della coltivazione del riso in campi non sommersi dalle
acque, nè irrigati, ma la cui umidità dipendeva solo
dalle piogge, sono state trovate nella Cina
settentrionale e sono state datate a circa 5.000 anni
fa.
Dalla documentazione archeologica sappiamo inoltre
che, tra il quarto e il terzo millennio a.C., la
coltivazione del riso ebbe una rapida espansione verso
le regioni sud-orientali dell’Asia continentale e verso
ovest, attraverso l’India e il Pakistan, fino a
raggiungere le alte valli del fiume Indo. La discesa
lungo l’Indo, per raggiungere l’attuale regione del Baluchistan, avvenne circa mille anni più tardi e fu
probabilmente questa l’ultima migrazione in ordine di
tempo del riso verso occidente.
Ci vorranno altri mille anni prima che il riso venga
conosciuto nel mondo classico ed altri mille anni ancora
per arrivare alla sua coltivazione nel Bacino del
Mediterraneo, dove fu introdotto dagli Arabi.
La conoscenza e la coltivazione del riso nel
Mediterraneo e in Italia
Il mondo
classico mediterraneo conobbe il riso orientale solo
dopo la conquista dell’Asia da parte di Alessandro
Magno.
Teofrasto, contemporaneo di Alessandro, fu il
primo a descrivere il riso nel suo trattato sulla storia
delle piante. Ne parlò come di un cereale che cresceva
in acqua per lungo tempo e i cui semi erano
particolarmente idonei ad essere bolliti per soddisfare
le esigenze alimentari dei popoli dell’Asia.
Ancora più dettagliata è la descrizione lasciataci da
Aristobolo, compagno di Alessandro nelle spedizioni in
Asia, secondo il quale il riso veniva coltivato in
aiuole chiuse e ben irrigate; era un pianta alta quattro
piedi, abbondante di spighe e ricca di semi.
Secondo Aristobolo il riso si coltivava nella Battriana
(Afghanistan) e nelle terre del basso corso del Tigri e
dell’Eufrate dove, evidentemente, era arrivato prima del
passaggio dell’esercito di Alessandro.
Il riso, quindi, prima del quarto secolo avanti Cristo
aveva già raggiunto il Vicino Oriente, ma non si era
diffuso nelle regioni limitrofe.
Dalle
descrizioni riportate nel
Periplo
del Mare Eritreo,
un resoconto della geografia portuale databile al primo
secolo d.C., sappiamo che il grano e il riso erano
prodotti che venivano scambiati lungo le rotte del Golfo
Persico e del Mar Rosso: provenivano dalle regioni dell’Ariacia
(Afghanistan meridionale) e di Barigozzo (Barygaza,
porto della costa occidentale dell’India) ed erano
destinati agli empori della Penisola Araba.
La
conoscenza del riso nel mondo romano non fu quella di un
cereale adatto all’alimentazione umana ma piuttosto
quella di un prodotto medicamentoso che, sotto forma di
decotto, veniva prescritto dai medici ai pazienti più
ricchi per curare le malattie del corpo, come ricordato
da Orazio.
L’Egitto
fu la prima tappa del percorso che portò il riso a
diffondersi nel Mediterraneo. Si deve alla
colonizzazione araba il trasferimento della coltivazione
del riso dall’Egitto alla Spagna, probabilmente poco
dopo il 1000 d.C.
La conquista araba delle terre del Mediterraneo
occidentale favorì la diffusione della coltivazione del
riso sia per soddisfare le esigenze degli stessi arabi,
sia perchè il riso cominciava ad entrare nelle abitudini
alimentari dei popoli conquistati.
Il riso
era conosciuto in Italia molto prima che ne iniziasse la
coltivazione, perchè era considerato una spezia ed era
venduto per scopi terapeutici. Qualche traccia della
presenza del riso in Italia si trova già in documenti
del 1390, però non è chiaro a chi si deve l’introduzione
di questo cereale nella penisola. Nel 1468 fu inaugurata
la prima risaia, mentre il primo documento che dimostra
la coltivazione del riso in Italia risale al 1475 ed è
una lettera di Galeazzo Maria Sforza, il quale
prometteva di inviare dodici sacchi di riso al Duca di
Ferrara. Con l’avvio della coltivazione in Lombardia il
riso, da prodotto di uso esclusivo degli speziali,
divenne un elemento dell’alimentazione dei Lombardi.
Dalla
Lombardia la coltivazione del riso si estese con
rapidità a tutte le zone paludose della Pianura Padana.
A tale diffusione seguì però un aumento dei casi di
malaria e furono molti i provvedimenti che cercarono di
limitarne la coltivazione in prossimità degli abitati.
Nonostante i divieti, la coltivazione del riso continuò
ad espandersi perchè la sua resa e il conseguente
guadagno, rispetto ai cereali tradizionali erano così
alti da far prevalere il fattore economico sul rischio
di malattie. Il riso ebbe dunque una immediata
diffusione, malgrado i rischi che derivavano dalla sua
coltivazione, i dazi e i divieti, e, probabilmente, il
suo successo si deve anche alla crisi alimentare che si
registrò in tutto il Mediterraneo occidentale nel XVI
secolo. Le carestie si alternavano alla peste, i
raccolti scarseggiavano e non era facile
approvvigionarsi all’estero. In queste condizioni il
riso fu visto come il cereale che poteva in qualche modo
far fronte alle richieste di una popolazione sull’orlo
della fame.
Dalla
Pianura Padana la coltivazione del riso si diffuse anche
in Emilia e in Toscana, dove però la penetrazione fu più
lenta a causa della minore disponibilità di acqua da
destinare al nuovo cereale. Alla fine del XVII secolo il
riso si coltivava ormai largamente nella pianura del Po,
in Toscana ed in qualche area della Calabria e della
Sicilia.
Nel 1700 le risaie del territorio milanese coprivano una
superficie di oltre 20.000 ettari, mentre un secolo e
mezzo dopo le sole risaie del vercellese raggiungevano i
30.000 ettari.
By Lorenzo
Costantini, Loredana Costantini Biasimi - Museo d’Arte Orientale "Giuseppe Tucci", Roma
Tratto da:
beniculturali.it
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La storia del
riso
è
opera difficile tracciare le origini del
riso. Le
prime varietà, si suppone, furono trovate nell'Himalaya,
oltre 12.000 anni fa; ma diverse sono anche le specie
trovate nell'Asia Orientale, dove è possibile trovarlo
ancora oggi
Le prime notizie sul
riso,
scritte nel VI° Secolo A.C. lo definiscono con una forma
simile a quello della spelta, ovvero uno stelo sottile e
lungo.
Diversi luoghi storici furono anche terra di riso, come
la pianura che circonda il Tigri e l'Eufrate o anche del
Nilo che straripando lasciava l'humus sulla terra,
fertilizzandola.
Così come possiamo ritrovare in Egitto da diversi secoli
le prime coltivazioni naturali di riso, difficile è
credere che in Italia, oggi principale produttore, nei
tempi antichi non era ancora a conoscenza del riso.
L'insolito è che pur non conoscendolo, gli scrittori
italiani ne parlassero, come Orazio che ne parlò come
valido decotto.
Le fonti raccontano che gli italiani vennero a
conoscenza del riso dopo che la Spagna divenne provincia
romana, poiché in Spagna il cereale era giunto prima,
come fonte di scambio tra alcuni paesi, tra cui
l'Egitto.
Oggi il Giappone è uno dei principali consumatori, ma
non sempre fu cosi. Per molti secoli il riso era il cibo
dei guerrieri e dei mercanti. Solo alla fine del
novecento fu concesso a tutta la popolazione.
I greci scoprirono il riso nel periodo dell'invasione
dell'India di Alessandro Magno. E gli arabi hanno
contribuito nella diffusione del riso in Egitto, quindi
Marocco, e nello stretto di Gibilterra.
Per trovare la prima risaia di moderna concezione
dobbiamo fare un passo indietro alla metà del 1400, dove
in Lombardia troviamo documenti che attestano opere di
adduzione di acque per le grandi risaie.
Il territorio paludoso ha favorito l'estensione delle
coltivazioni, che fino alla prima metà del 1800
riguardavano principalmente il "nostrale".
Successivamente arrivarono delle varietà di
riso
asiatico che contribuirono a gettare le basi della
moderna risicoltura.
Dalla Lombardia la coltura del
riso si
espanse anche nel Piemonte, in modo particolare a Novara
e Vercelli, pur instaurando a Mortara uno dei centri più
moderni per il riso.
Nel passato la risicoltura è stata messa sotto accusa
quale fonte di inquinamento dell'aria e del propagarsi
della malaria. e ancora oggi i Piani Regolatori delle
città dove si trovano le risai stabiliscono le "zone di
rispetto" per limitare ampia diffusione delle zanzare.
Tratto da:
buonissimo.org
Le origini del Riso -
a cura
del CNR
Nessuno è ancora
riuscito a stabilire quale sia l’origine del riso.
Secondo alcuni studiosi potrebbe essere comparso per la
prima volta più di 1200 anni or sono sulle pendici dell’Himalya.
Il riso comprende circa diciannove specie di piante
della famiglia delle graminacee, ma delle tante varietà
esistenti solo l’”Oryza Sativa” - apparsa per la prima
volta circa cinque o seimila anni fa in Cina o in
Tailandia - è quella importante per l’alimentazione
umana. Sicuramente è il cereale più consumato al mondo e
si coltiva oltre che nei Paesi dell'Asia orientale,
anche in Egitto, Italia, Stati Uniti e Brasile.
Con il riso si possono
creare piatti gustosissimi come risotti, arancini e
budini di riso, in grado di soddisfare anche i palati
più esigenti. Quando si cucina è però importante tener
conto della varietà di riso più adatta al piatto in
questione. Varietà che in questo caso riguarda
esclusivamente la dimensione dei chicchi e i tempi di
cottura.
Ma il riso non è materia solo di cuochi e buongustai,
molti scienziati si sono infatti concentrati sullo
studio di questo tipo di cereale che, tra le graminacee,
è quello che ha il genoma più piccolo.
Domenico Pignone, ricercatore presso l’Istituto di
Genetica Vegetale del CNR di Bari, pone l’accento
sull’importanza degli studi sulla decodificazione del
genoma del riso, la cui mappa è stata di recente
completata da un gruppo di ricercatori di una decina di
Paesi, coordinati dal Giappone. “Lo studio del genoma
del riso - spiega Pignone - può permettere di trovare
quello di altre graminacee, perché il riso e gli altri
cereali hanno progenitori comuni e, quindi, porzioni di
genoma simili. Bisogna pensarla come un lego - aggiunge
– dove ogni mattoncino è un gruppo di geni. Un gene del
riso vicino ad un carattere può far pensare ad una
vicinanza con un gene presente in altre specie”.
Per capire meglio
bisogna pensare a qualcosa di simile allo studio del
genoma umano mediante il quale si tenta di sconfiggere
alcune malattie finora incurabili. Pignone porta
l’esempio del Golden Rice (il riso dorato), arricchito
di vitamina A. Questo tipo di riso, denominato così per
il colore giallognolo che lo caratterizza, è stato
sviluppato nel 1999 modificando tre geni dalla
giunchiglia e uno da un batterio. Grazie al suo apporto
vitaminico i ricercatori lo considerano un prodotto
fondamentale per le popolazioni che si nutrono di solo
riso. Per limitare i danni causati dalla carenza di
vitamina A, bastano piccoli apporti di questa sostanza.
Il brevetto del Golden Rice appartiene alle
multinazionali, ma Pignone ritiene che, diffondendo gli
strumenti medianti i quali è possibile creare qualità di
riso simili, è possibile diffondere un alimento
essenziale come il Golden Rice superando il problema dei
diritti.
Tratto da:
ecplanet.com
By
Alessandra Pugliese - Fonte: Domenico Pignone -
Istituto di Genetica Vegetale del CNR, Bari
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Altre indagini sulla storia del Riso -
ORIGINI STORICHE
Riso è una parola di origine indiana, deriva dalla
parola della lingua Tamil arisi,
documentata già 5000 anni fa nell’India
meridionale. Viene coltivato da epoche antichissime in
estremo oriente, Cina, India, Giappone. Anche gli arabi,
gli armeni, i copti, e i siri conobbero il riso e ne
studiarono i metodi di coltura come risulta da numerosi
riferimenti e citazioni presenti nei testi scritti.
In Occidente il riso arrivò invece in epoca cristiana.
Gli egizi e gli ebrei probabilmente non lo conobbero, e
greci e romani lo citano solo come pianta aromatica e
medicinale: ne parlano Teofrasto e Stradone, il medico
Galeno lo consiglia nella dieta dei gladiatori e Plinio
il Vecchio lo descrive nella sua Storia naturale.
Tuttavia per tutto l’alto medioevo in Europa il riso
continua a essere considerato ingrediente per dolci o
pianta medicinale.
Veniva soprattutto
importato dall’oriente dietro pagamento di forti dazi e
veniva considerato prezioso al pari delle altre spezie
pregiate. E’ difficile rintracciare l’arrivo del riso in
Italia.
Forse fu introdotto dagli Arabi in Sicilia, o dai
crociati di ritorno dalla Terrasanta, o dai mercanti
della Repubblica di Venezia.
La coltura cominciò alla
fine del quattordicesimo secolo, forse
non a caso dopo l’ondata di terribili epidemie di peste
che decimarono la popolazione di tutto il continente. Le
prime risaie furono in Piemonte e in Lombardia, terre
fertili e ricche di fiumi.
Si sa che nel 1475 Gian Galeazzo Sforza dona un sacco di
riso ai duchi d’Este, contribuendo così alla sua
diffusione, che continuò a crescere. Alla fine del
diciassettesimo secolo approdò in America.
Per molti secoli in Occidente non fu coltivata che una
sola varietà: il Nostrale. Fu solo a
metà del secolo scorso che numerose altre varietà furono
importate dall’oriente e che iniziarono selezioni e
sperimentazioni di genetica vegetale. Altro passo
importante verso la moderna risicoltura fu quello
compiuto da Cavour che diede l’impulso alla costruzione
di grandi sistemi irrigui nel vercellese: l’irrigazione
continua delle risaie proteggendo le piante dal freddo
permise le prime coltivazioni intensive.
Oggi l’Italia, che è il primo coltivatore europeo di
riso, dedica circa 230.000 ettari di terreno alle
risaie.
La maggior parte delle coltivazioni di riso della
penisola si trova nel pavese e in Lomellina, sia per la
tradizione delle tecniche di coltivazione, sia per le
caratteristiche morfologiche del terreno.
COME SI COLTIVAVA
Il lavoro della risaia coinvolgeva uomini e donne: le
donne venivano chiamate mondine: erano
le mogli dei lavoranti, che prestavano servizio nella
risaia in modo continuativo da febbraio a novembre,
oppure le forestiere, che lavoravano in modo occasionale
nei momenti di maggiore necessità.
Si comincia con la concimazione: i
bifolchi, che conducevano l’aratro
tirato dai buoi, o i cavallanti, che
invece procedevano a cavallo, scaricavano sui campi
carichi di concime e le donne erano incaricate di
spargerlo sul terreno. Si procedeva con
l’aratura, il livellamento del singolo campo,
chiamato camera e la preparazione degli argini tra le
camere, che veniva di solito effettuata da lavoratori
stagionali o avventizi. L’aratura andava completata con
la zappatura, in genere effettuata dalle donne. Poi si
immetteva l’acqua e il terreno andava ancora una volta
livellato.
La semina, nei mesi di marzo e aprile,
era compito di lavoratori avventizi esperti e ben
pagati. I seminatori per gettare la semente in modo
uniforme dovevano camminare con passo cadenzato e il
lavoro il lavoro era abbastanza pesante. La
monda avveniva tra maggio e giugno ed era un
lavoro tipicamente femminile: le mondine procedevano
allineate, le erbe venivano passate di mano in mano e
depositate nei solchi laterali dall’ultima della fila.
Per lavorare nell’acqua le donne facevano un’arionda
ovvero tiravano su la gonna e la fermavano con il laccio
del grembiule. Il lavoro non era particolarmente gravoso
e le mondine potevano cantare. Uno dei canti
tradizionali è diventato poi un famoso canto partigiano:
O Bella Ciao.
Ma con il termine monda si intendeva anche il
trapianto: si tratta di un’altra tecnica di
coltivazione, il riso veniva seminato in vivaio e
trapiantato dopo quaranta giorni. Il lavoro di trapianto
era più faticoso della raccolta delle erbacce, perché si
doveva procedere a ritmo cadenzato arretrando, e si
aveva un tempo limitato. Veniva svolto per lo più dalle
mondine forestiere.
Anche la mietitura avveniva con squadre
in fila: i mietitori con una mano tagliavano le spighe e
con l’altre le afferravano, fino ad avere le mani piene:
allora le deponevano e le legavano insieme. Il lavoro
era faticoso e anche pericoloso: per esempio se una
mondina rimaneva indietro correva il rischio di essere
ferita dalla falce delle compagne della fila dietro.
Fino all’Ottocento sulle messi essiccate al sole veniva
effettuata la tresca: gli animali da
tiro passavano sul raccolto, che poi veniva battuto. Nel
secolo scorso si diffuse poi la trebbiatura.
Le prime macchine erano a vapore e richiedevano ancora
molto lavoro umano, soprattutto maschile.
Il risone ottenuto dalla trebbiatura andava ora pulito:
si spargeva nell’aia per l’ultima essiccatura e poi si
raccoglieva separandolo dalla paglia con una scopa a
trama larga. All’inizio del Novecento si diffusero gli
essiccatoi, ma il metodo tradizionale continuò a essere
utilizzato ancora per diversi decenni.
VARIETÀ ANTICHE
Esistono moltissime varietà di riso, decine quelle
attualmente coltivate in Italia, molte altre quelle
coltivate anticamente che si sono perse nel corso dei
secoli.
A
Langosco, sulla
valle del Sesia, sono state riportate in vita, e
coltivate con l’applicazione fedele delle tecniche di
coltura del XVII secolo, alcune fra le più antiche
varietà di riso di cui esistano ancora sementi
germinabili:
Riso Lencino
progenitore del famosissimo Carnaroli
Riso America 1600
Riso Gigante di Vercelli
Tratto da:
memoriedilomellina.it
L'impegno della genomica cinese per migliorare il
riso
Un'analisi genetica condotta al Beijing Institute of
Genomics, punta di diamante della ricerca cinese nel
campo della genomica, ha chiarito i meccanismi
dell'antica domesticazione delle due varietà di riso
coltivato japonica e indica. Un primo processo avvenne
nella Cina meridionale, seguito da altri incroci con
varietà selvatiche locali in altre regioni dell'Asia
meridionale e del Sudest asiatico.
Le conclusioni dello studio serviranno da guida nella
ricerca di cultivar di maggior resa senza bisogno di
ricorrere agli OGM, in un
settore cruciale per il fabbisogno alimentare del
gigante asiatico.
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Altra Storia del riso
Frate Vella era decisamente
un burlone. Forse per noia, forse per la smania di
costruire la Storia a suo modo, disseminò gli archivi di
falsi documenti sulla dominazione araba in Sicilia. Un
bel giorno, questo fantasioso religioso medioevale
"inventò" un rescritto arabo del IX secolo dal quale
avrebbe dovuto risultare che il riso si era diffuso in
Sicilia prima dell'anno Mille. Infatti, secondo quello
stesso rescritto, nell'800 dopo Cristo sul cereale era
stata istituita dai dominatori islamici una gabella. Ma
gli storici, come riferì Renzo Ciferri anni fa, hanno
definitivamente smascherato il disinvolto fratacchione.
Questo non significa che il riso non sia approdato anche
in Sicilia e in Italia Meridionale per opera degli arabi
più di mille anni fa. Tracce più attendibili e
convincenti evidenziano come, prima ancora
dell'espansione islamica nel bacino del Mediterraneo,
iniziatasi intorno al 640 dopo Cristo, il riso fosse fra
le merci che passavano attraverso la "Porta del pepe" di
Alessandria d'Egitto. Date le sue qualità curative, era
considerato una spezia, comunque meno preziosa del pepe.
Sicuramente i misteri che avvolgono l'origine della
pianticina del riso ed il suo cammino in giro per il
mondo, fino ad essere arrivata al 45' parallelo dove
sussistono le condizioni estreme di coltivazione,
appassioneranno ancora per lungo tempo gli studiosi.
Nel
1952, ad esempio, il giapponese Matsuo ha per primo
ricostruito pazientemente la vicenda millenaria del riso
servendosi della genetica. Ed ha fornito una sua chiave
di lettura del giallo: l'Oryza Sativa (è il suo nome
botanico) sarebbe comparsa per la prima volta più di
sette, od ottomila anni fa, dalle parti dell'isola di
Giava; oppure secondo un'altra ipotesi proverrebbe dalla
zona dei laghi cambogiani.
Una controprova, che non farebbe permanere dubbi sulla
"patria" estremo orientale della specie, viene
dall'archeologia: alcuni scavi dimostrerebbero che in
Cina, già settemila anni fa, si coltivava e si consumava
riso. I resti fossili nella valle dello Yang Tze offrono
un'altra conferma: tre o quattro mila anni fa in quella
regione le risaie erano già una realtà. I reperti
rinvenuti in India, nelle grotte di Hastinapur situate
nello stato di Uttar Pradesh, dicono poi che intorno al
1000 avanti Cristo le popolazioni di quelle lontane
contrade si nutrivano di riso.
Anche le leggende antichissime e tramandate verbalmente,
i detti popolari, la storia della cucina orientale che
ha nel riso uno degli elementi basilari, sono lì a dire
di sì: non solo l'Oryza Sativa ha risolto il quotidiano
dramma della fame, ma ha stimolato governanti e
governati a darsi da fare per un'agricoltura più
razionale e redditizia; oppure ha ispirato massime con
un valore davvero universale.
Eccone un piccolo campionario.
Volendo evidentemente rassicurare sull'attenzione sempre
vigile della Provvidenza, consiglia un proverbio
cinese:"Mangia il tuo riso, al resto ci penserà il
cielo". Ed un altro detto orientale, che riassume alla
perfezione il ruolo economico e sociale del riso,
avverte:
"Uno lavora e nove mangiano riso". Inoltre,
parlando delle peculiarità alimentari e terapeutiche del
chicco, i medici orientali ammonivano e ammoniscono:
"Noi viviamo per quello che digeriamo, non per quello
che mangiamo". I saggi della Scuola Salernitana non
avrebbero potuto essere più efficaci. Né più incisivo
riuscirebbe ad essere chi dovesse illustrare
sinteticamente la completezza nutritiva del riso che,
unico assieme al mais, possiede tutti gli aminoacidi
essenziali e che è altamente assimilabile. E, fra le
tante, ecco una leggenda significativa sulla scoperta
fortuita (nel XIX e nel XX secolo accadrà ripetutamente
in Italia) di una varietà di riso capace di maturare più
velocemente e quindi, con la possibilità di coltivazione
alle latitudini settentrionali.
La riferì il già citato Ciferri in una sua pubblicazione divenuta fondamentale
per ogni ricerca seria sulla storia della risicoltura.
Kang Hi era un imperatore che visse fra il 1662 e il
1723 avanti Cristo e che aveva la passione
dell'agricoltura. Un giorno notò che, in un suo campo di
riso, alcune pannocchie erano maturate prima. Osservò
con maggiore attenzione, ci lavorò attorno con spirito
scientifico assieme ai suoi dignitari e ne saltò fuori
lo "yu - mi", il riso imperiale, o precoce, che venne
seminato e coltivato a settentrione della Grande
Muraglia dove arriva prima la stagione fredda. Come
anche succede - per rimanere all'Europa - nella Pianura
Padana, l'area italiana dove è concentrata la
coltivazione risicola; o come accade in Ungheria,
Romania, Unione Sovietica ed in altri angoli del vecchio
continente dove la pianticina deve giungere a
maturazione entro 180 giorni per non essere distrutta
dalle intemperie.
Ed infine alcuni dati eloquenti che provano quanto
conti, abbia contato, e presumibilmente conterà per
molto tempo ancora il riso nell'alimentazione dei popoli
orientali; quindi, cifre che anche dimostrano quanto
abbia pesato e quanto pesi il cereale sulla cultura e
sui costumi degli abitanti dell'immenso Sud-Est
asiatico. Un laotiano consuma annualmente intorno ai 170
chilogrammi di riso e, come ha fatto rilevare in un suo
studio assai puntuale e completo Angelo Politi, non
siamo al massimo perché, una quindicina di anni fa, la
razione pro-capite era ancor più consistente: circa 177
chilogrammi. Seguono, per rimanere in Asia, i cambogiani
con 152 chilogrammi, i vietnamiti e i thailandesi con
oltre 140 chilogrammi, i coreani del nord con 138
chilogrammi e quelli del sud con 120, i cinesi con oltre
103 chilogrammi. Ma, sempre per citare i casi
maggiormente esemplificativi, anche taluni paesi
africani non scherzano: nel Madagascar il consumo medio
per persona all'anno è di 139 chilogrammi, mentre nella
Sierra Leone è di 120 chilogrammi. Al confronto, le
statistiche che ci riguardano più da vicino
impallidiscono.
Infatti, in Europa occidentale il consumo è di 4,1
chilogrammi (5 in Italia e 3,7 circa nell'area della Cee).
Queste indicazioni ci portano ad altre, più generali. La
prima è sulla produzione mondiale di riso: oltre 595
milioni di tonnellate di prodotto greggio ottenuto
seminando una superficie intorno ai 155 milioni di
ettari.
La seconda è sul raccolto globale di grano che, col
riso, ha avuto il compito di sfamare l'uomo: oltre
cinque miliardi di quintali ottenuti, secondo le
valutazioni del Dipartimento dell'agricoltura degli
Stati Uniti, da oltre 230 milioni di ettari. Assieme,
riso e grano assicurano produzioni superiori a quelle di
tutti gli altri cereali che si coltivano sul globo (8
miliardi e 500 milioni circa di quintali).
Ma il riso,
che serve all'autoconsumo nella percentuale di circa il
97% e che, quindi, è marginale nelle transazioni
internazionali, fatti i conti sarebbe più generoso del
grano.
Per l'appunto su questa sua generosità, che in pratica
voleva e vuole dire capacità di combattere concretamente
la sottoalimentazione, ha fondato in Europa la sua
affermazione nel XV e XVI secolo. Per raccapezzarci
dobbiamo, però, riprendere il bandolo delle vicende
storiche.
Avevamo lasciato il riso nei fondaci della "Porta del
pepe" di Alessandria d'Egitto. In quegli anni (intorno
al 550 dopo Cristo) se ne occuparono ampiamente in
manoscritti dedicati agli alimenti e ai metodi di
coltivazione arabi, siriani, copti, nubiani, etiopi,
armeni, georgiani. Fu, rispetto all'antichità, una
svolta perché, a quanto pare, gli egizi e gli ebrei non
conobbero il riso; e i romani, come Teofrasto e Strabone,
lo liquidarono con la vaga definizione di "pianta
acquatica" mentre nella sua "Storia naturale" Plinio il
Vecchio fece una gaffe raccontando che il riso è il
frutto di un vegetale dalle foglie carnose. Anche i più
informati della Roma antica considerarono il cereale
decorticato buono soltanto per infusi coi quali
combattere mal di pancia ed altre affezioni.
In Italia e in Francia l'etichetta affibbiata al riso di
medicinale o, al più, di ingrediente per dolci, continuò
ad essere valida fino all'alto Medioevo. Forse il
cereale arrivò nel nostro Paese portato dai Crociati
andati a combattere l'Islam in Terra Santa, o dagli
Arabi in Sicilia, come abbiamo già accennato, e dagli
Aragonesi a Napoli, o dai mercanti di Venezia che
avevano rapporti con il Medio e l'Estremo Oriente. O dai
Monaci Benedettini che avevano allestito importanti orti
medici e che avevano avviato la bonifica delle zone
paludose. Sta di fatto che nel 1300, ignari di un
magistrale trattato di agricoltura del califfo Al Abbas
Al Rasul, che parlava anche di riso, potenti e
benpensanti non si spostarono di un millimetro. Anzi, si
profilarono nei confronti della coltivazione nelle zone
più acquitrinose le prime persecuzioni a base di "gride"
con lo scopo di regolare, contenere drasticamente, in
più di un caso vietare.
Un "Libro dei conti della spesa" dei Duchi di Savoia,
datato anno 1300, è in merito eloquente: registra
un'uscita di 13 imperiali alla libbra per "riso per
dolci" e di 8 imperiali per miele. Indubbiamente
interessante è anche un editto applicato nel 1340 dai
gabellieri di Milano sul riso, "spezia che arrivava
dall'Asia, via Grecia" e, pertanto, obbligato a pagare
"forti tariffe daziarie".
Un altro documento del 1371
colloca il cereale fra le "spezierie" e merceologicamente lo definisce "Riso d'oltremare" e
"Riso di Spagna". Ma in quegli stessi anni ne accaddero
di ogni colore: epidemie, guerre, carestie dovute anche
all'esaurimento dei vecchi alimenti destinati alle plebi
come il farro, il miglio, il sorgo, la segale, l'orzo,
il frumento turgido. Il colpo di grazia arrivò con la
pestilenza biblica che durò dal 1348 al 1352.
La falcidie di persone, senza uguali nella Storia, rese
l'Italia una landa desolata. Per la ripresa occorreva un
prodotto agricolo altamente produttivo. Il riso, che
come ben sapevano gli orientali lo era, fu finalmente
visto in una luce diversa; e nei successivi cinquecento
anni è andato consolidando, sia pure fra alterne
vicende, la sua posizione di alimento strategico anche
per l'occidente. Guardando alla sua ascesa che s'inizia
nel XV secolo, alcuni studiosi hanno felicemente
definito il riso un "vegetale rinascimentale". Infatti,
come i frumenti volgari che sostituirono le specie
degenerate sopravvissute alla Latinità, come il mais
portato dall'America dopo il 1492 e come la patata nel
Nord Europa, esso contribuì al miglioramento della
qualità della vita; quindi cooperò al rinnovamento, dopo
i drammi del tardo Medioevo, di tutte le attività umane.
Tuttavia, forse più degli altri prodotti, il riso anche
in Italia e nei Paesi dell'Europa meridionale ha una
storia ad intreccio molto fitto.
Le diverse fasi
presentano un indubbio fascino. La coltivazione a metà
del XV secolo è già abbastanza diffusa fra il Piemonte e
la Lombardia con risaie che si spingono fino alla
pianura intorno a Saluzzo.
Nel 1475, Gian Galeazzo Sforza dona un sacco di seme di
riso ai duchi d'Este assicurando che, se ben impiegati,
si trasformeranno in 12 sacchi di prodotto. Questo
rapporto numerico, che aveva per quei tempi del
miracoloso, diventa costante e già all'inizio del 1500
le risaie s'estendono su 5000 ettari. Diventeranno
50.000 ettari a metà del XVI secolo; e i raccolti
saranno tutelati con appositi provvedimenti, in modo che
il seme non sia esportato e diventi un'arma in mano a
Stati avversari, mentre nel 1567 il riso al mercato di
Anversa sarà reputato valida moneta di scambio alla
stregua delle stoffe pregiate e delle armi. Nel 1690 il
riso percorre poi a ritroso la strada del mais e giunge
in Carolina dove trova l'ambiente adatto per la sua
espansione, via via più consistente, anche in America.
Oggi, quaranta o cinquanta varietà di cereali ci
sembrano un numero normale. Ma per quattrocento anni,
dal XV secolo al 1850, fu disponibile e coltivata
l'unica varietà del "Nostrale" che, durante tutto questo
lungo periodo, dovette fare pesantemente i conti col
"Brusone", malattia inquadrata con precisione soltanto
nel 1903, in occasione del secondo convegno
internazionale di risicoltura di Mortara.
Il cambiamento, seguito ad un altro piccolo giallo sul
riso, si profilò alla fine degli anni Trenta del XIX
secolo.
Nel 1839, il gesuita Padre Calleri se ne venne infatti
via abusivamente dalle Filippine con i semi di 43
varietà di riso asiatico che sarebbero poi serviti ai
pionieri della genetica vegetale per creare la moderna
risicoltura. Erano, questi selezionatori, più poeti
della risaia che scienziati: osservando il comportamento
della natura e, andando a tentoni con prove continue,
ottennero le varietà più note e delle quali permane
inalterata la memoria anche in cucina.
I risultati fondati esclusivamente sull'empirismo, hanno
però lasciato progressivamente il posto ai risultati
derivanti dal lavoro dei ricercatori di livello
scientifico sempre più ragguardevole. La nuova fase
s'apri in realtà a Vercelli nei primi anni di questo
secolo con la istituzione della Stazione sperimentale di
risicoltura. Negli anni Settanta le strutture di ricerca
e di sperimentazione si sono arricchite del modernissimo
Centro per il riso di Mortara, fondato e gestito
dall'Ente Nazionale Risi. A Vercelli la vecchia
"Stazione" è stata, nel frattempo, trasformata in
Sezione specializzata dell'Istituto nazionale di
cerealicoltura.
Senza dubbio il periodo di progresso più spettacolare
della risicoltura italiana s'inizia a metà del secolo
scorso, allorché per impulso di Cavour gli agricoltori
del Vercellese si organizzano e, nel 1853, istituiscono
uno dei più efficienti e, per l'epoca, grandi sistemi
irrigui. Senza acqua ben distribuita con cui sommergere
i campi per proteggere le coltivazioni dalle forti
escursioni termiche fra il giorno e la notte, il
raccolto non avrebbe potuto, né potrebbe oggi, giungere
a maturazione.
La complessa infrastruttura viene
potenziata nel 1866 con la costruzione del Canale Cavour
che permette il "trasferimento" di risorse idriche dai
fiumi Po, Dora Baltea, Sesia, Ticino e dal Lago Maggiore
in un comprensorio di circa 400.000 ettari. Il
completamento si avrà nel 1923 con la costituzione, a
Novara, di un organismo per l'autogestione delle acque
come settant'anni prima avevano fatto i vercellesi.
Nella seconda metà del XIX secolo, inoltre, grazie alle
macchine progettate e prodotte a Vercelli, nel Novarese
e nel Milanese. in Germania e in Inghilterra, la moderna
industria risiera si sostituisce alle pilerie
settecentesche.
Le diverse fasi di coltivazione (preparazione dei
terreni, inondazione e semina, monda del riso e
mietitura) nell'arco di 180 giorni fra marzo ed ottobre,
richiedevano anche molta mano d'opera. Soprattutto
l'eliminazione manuale delle erbe infestanti ed il
taglio del raccolto, fino agli anni Cinquanta portò in
risaia nella tarda primavera e in autunno 260-280 mila
persone, il 60% delle quali provenienti dalla Lombardia,
dall'Emilia, dal Veneto, negli anni precedenti
all'avvento del diserbo chimico dalle regioni
meridionali. Anche la pratica del trapianto per
sfruttare il suolo con altre coltivazioni, poi
abbandonata, richiese lavoratori molto abili e in numero
elevato.
Fra l'ottocento ed il primo Novecento le condizioni
sociali e il trattamento economico di mondariso,
braccianti e salariati determinarono, inoltre, forti
conflitti sociali che si risolsero nel 1906 con i primi
contratti collettivi basati sulla giornata lavorativa di
otto ore. In quegli stessi anni comparvero le prime
macchine per meccanizzare le diverse pratiche di
coltivazione, mentre bisognerà attendere fino al 1952
per l'introduzione sperimentale delle sostanze chimiche
diserbanti che si diffonderanno dal 1957 e che
imprimeranno una svolta decisiva in risaia dai primi
anni Sessanta.
La produzione risicola italiana dipende, oggi, dalle
tecnologie chimiche e meccaniche più avanzate. Il
milione e duecentomila tonnellate ottenute su 200 mila
ettari (il 90% concentrati nel triangolo Novara,
Vercelli, Pavia) vengono raccolti ed essiccati
completamente a macchina. Ogni ettaro, che nel 1939
richiedeva in media 1.028 ore di lavoro, attualmente non
impegna mediamente per più di 50 ore.
Nell'ambito della Cee i paesi che coltivano riso,
tutelato in base al trattato di Roma, dal 1967 sono
Francia (18.700 ettari), Grecia (20.000 ettari),
Portogallo (23.000 ettari), Spagna (114.300 ettari).
L'Italia è, dunque, di gran lunga il partner risicolo
più importante.
E questa sua posizione preminente ha
aumentato durante 130 anni le proporzioni dei problemi
da affrontare e risolvere.
Una delle crisi più profonde
che la risicoltura nazionale dovette affrontare fu
all'indomani della grande depressione mondiale del 1929.
Ma il settore reagì con la costituzione, nel 1931,
dell'Ente Nazionale Risi che esplica da allora
un'intensa attività tecnico economica nonché
promozionale a sostegno delle categorie interessate;
ossia produttori agricoli, industriali di
trasformazione, operatori commerciali, lavoratori e
tecnici.
Le statistiche e taluni piatti regionali come i risotti
rustici, con l'originario compito di garantire un
nutrimento sufficiente alle classi meno abbienti,
confermano che il cereale ha svolto un essenziale ruolo
sociale dall'Unità d'Italia agli anni Quaranta.
Successivamente ha parzialmente mutato funzione e questo
cambiamento si rispecchia con evidenza nel diagramma dei
consumi medi pro-capite (1 0 chilogrammi nel 1870; 1 1
chilogrammi nel 1920; 8 chilogrammi nel 1940; 4,5
chilogrammi nel 1980).
La media per persona sta nuovamente risalendo (5
chilogrammi). Questo alimento, dopo essere stato in
Occidente spezia, quindi cibo per sopravvivere, è ora il
protagonista di un'altra "performance": la modificazione
che lo ha inserito nella cucina colta, civile,
essenziale dell'Europa più dinamica la quale guarda con
rinnovata attenzione all'Oriente e alle sue tradizioni
millenarie.
Più antico di duemila anni del basilare
latte di capra e di pecora (il genere umano, secondo gli
storici, usa il latte caprino da cinquemila anni), coevo
del vino e, forse, dell'olio d'oliva che pure viene
dall'estremo Oriente, il riso ha davvero ogni qualità
per perpetuare la sua fama di primo fra le cinque specie
alimentari fondamentali. E, come i fatti quotidiani
stanno dimostrando da anni, tecniche alimentari e
gastronomia utilizzeranno nei prossimi decenni con
sempre maggiore convinzione le sue virtù dietetiche.
© 2001 Ente Nazionale Risi - tutti i diritti riservati
Tratto da:
enterisi.it
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Varietà di RISO:
è
una pianta cerealicola (Oryza sativa) di castissima
diffusione in tutto il mondo ( ne esistono oltre 100.000
varietà). Quello coltivato e consumato in Italia
appartiene alla sottospecie
japonica;
ha stelo sottile, cavo, alto circa 1 m; sull'apice della
pianta si forma una pannocchia che quando matura porta
numerosi granelli (i frutti secchi tipici dei cereali),
i quali alla raccolta restano avvolti in rivestimenti
fogliari giallastri (costituendo il cosiddetto risone).
Gli involucri vengono asportati in seguito a successive
lavorazioni de pilatura e
sbramatura.
Dal punto di vista merceologico si classificano quattro
ripi di riso:
comune
od originario, a granello opaco p perlato, poco
resistente alla cottura, indicato per la preparazione di
minestre (ne fanno parte la varietà "Balilla",
"Raffaello",
"Pierrot");
semifino,
a granello perlato maggiormente resistente alla cottura
(varietà
"Maratelli",
"Rosa Marchetti", "Vialone
nano",
"Romeo");
fino, dal granello a struttura vitrea, resistente alla
cottura (varietà "Roma",
"Ringo", "Rizzotto",
"Razza
77");
superfino,
a granello vitreo molto resistente alla cottura (varietà
"Arborio", "Canaroli",
"Baldo").
Il riso ha le sue origini nell'attuale Indonesia (i
reperti più antichi risalgono a circa il 7000 a.C.).
Fu
noto ai greci e ai romani non come alimento ma come
pianta medicinale.
I risi delle varietà appartenenti al tipo comune
cuociono, secondo le preparazioni, tra i 12 e i 13
minuti; i semifini tra i 13 e i 15; i fini tra i 14 e i
16; i superfini tra i 16 e i 20. Il primo tipo è
generalmente impiegato per minestre in brodo e dolci; il
secondo per minestre in brodo di lunga cottura, timballi
e supplì; il terzo per verdure ripiene, bordure, sartù e
bombe; il quarto per risotti e anche per le preparazioni
delle due categorie precedenti.
Oggi esistono in commercio tipi di riso "che non
scuociono", ossia che mantengono inalterate le proprie
caratteristiche gastronomiche anche dopo parecchie ore
dal momento della cottura; ciò è dovuto a un processo
particolare di precottura, detto
parboiling,
grazie al quale si ottiene il doppio risultato di
rendere il riso a cottura rapida e, appunto, a maggior
tenuta una volta cotto, ma che non si avvicinano alla
qualità dei risi descritti precedentemente.
Il riso si conserva bene anche se la confezione è aperta
da qualche settimana, a patto che lo si tenga lontano
dall'umido, in luogo fresco e aerato.
Si può dire che un riso è ben cotto quando il dente, nel
tagliare un chicco, incontra una resistenza elastica ma
non un nucleo ancora duro.
Tratto da:
marchenet.it
vedi Riso OGM: il
riso contaminato da proteine umane ! +
Semi Antichi
salvezza della salubritaà dei cibi vegetali
GRANO SARACENO (Fagopyrum
esculentum)
Il grano saraceno si distingue dai comuni
cereali per l'elevato valore biologico
delle sue proteine, che contengono gli otto
amminoacidi essenziali in proporzione ottimale,
mentre i cereali "veri" (il grano saraceno, a
dispetto del nome, non è un cereale) contengono
poca lisina.
Il grano saraceno è una buona fonte di fibre e
di minerali, soprattutto manganese e
magnesio.
Ha un indice di sazietà abbastanza elevato,
caratteristica comune a tutti i cereali in
chicchi.
È privo di glutine, quindi è adatto per i
soggetti
celiaci.
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Il riso bianco, aumenta il rischio di diabete
- mangiare riso raffinato (togliere l'involucro
esterno) NON fa bene
- 07/03/2012
Mangiare riso bianco, ossia non integrale, fa aumentare
il rischio di sviluppare il
diabete di
tipo 2. E il rischio aumenta in proporzione al
maggior consumo di questo cereale.
Il problema non è il riso in sé, sia chiaro. Ma con
tutta probabilità lo è il mangiare un alimento privato
di tutte quelle preziose, utili, sostanze e componenti
così come è il chicco integrale dopo che è stato
sottoposto a raffinatura e “sbiancamento”.
La raffinazione del riso lo spoglia di molte sostanze
fondamentali come la fibra, le
vitamine, i
Sali minerali come per
esempio il Magnesio. Molti di
questi elementi sono stati associati a una protezione
dal diabete.
Il discorso tuttavia varrebbe anche per tutti quegli
altri alimenti che subiscono lo stesso trattamento, come
il frumento che diventa farina per pane, pasta e così
via…
Lo studio in questione però si è concentrato sul
possibile collegamento tra il consumo di riso bianco e
l’insorgere del diabete di tipo 2, e ha trovato un
riscontro.
Ne dà notizia il
British Medical Journal, che riporta i risultati di
questa nuovo studio revisionale condotto dai ricercatori
della
Harvard School of Public Health.
Gli scienziati miravano a trovare una correlazione tra
la quantità di riso bianco mangiato e se vi fossero
differenze tra i tassi di diabete di tipo 2 tra le
popolazioni occidentali e asiatiche – queste ultime
proprio perché sono le maggiori consumatrici di riso.
Gli studi analizzati erano in tutto quattro, di cui due
condotti in Cina e Giappone; gli altri due condotti in
Australia e negli Stati Uniti. Tutte le persone
coinvolte negli studi non presentavano la malattia al
basale o inizio studio.
Il perché gli scienziati ritengono il riso bianco un
potenziale fattore d’insorgenza del diabete di tipo 2 è
dovuto al suo alto valore di Indice Glicemico. Difatti
gli alimenti con un alto IG sono considerati fattori di
rischio per il diabete.
L’analisi dei dati da parte dei ricercatori ha messo in
mostra come vi fosse una tendenza nello sviluppo del
diabete più marcata nei Paesi asiatici dove il consumo
di questo cereale è di molto superiore rispetto ai Paesi
occidentali: si stima che, in media, un cinese mangi
quattro porzioni al giorno di riso, contro le meno di
cinque alla settimana di un occidentale.
Tuttavia la tendenza al rialzo dei casi di diabete è
stata scoperta sia nei Paesi asiatici che occidentali,
con una maggiore incidenza nelle donne.
Gli autori dello studio stimano che supponendo una
porzione media di 158 g pro-capite, ogni aumento di
questa faccia accrescere il rischio del 10 percento.
Ecco pertanto che un «elevato consumo di riso bianco è
associato a un rischio significativamente elevato di
diabete di tipo 2», scrivono gli autori dello studio.
Per cercare di arginare l’epidemia mondiale di diabete
di tipo 2, il suggerimento degli scienziati è di
mangiare cereali integrali sostituendoli, se possibile,
ai carboidrati raffinati.
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RISO ROSSO INTEGRALE (biologico)
Il riso rosso integrale biologico o meglio
biodinamico, è una varietà poco conosciuta, ma molto
nutriente, che deve il suo colore e le sue proprietà al
fatto che mantiene il rivestimento che copre il chicco,
il quale contiene una grande quantità di nutrienti e
fibre.
Si tratta in ogni caso di un riso a chicco lungo di
colore rosso scuro, normalmente di tipo integrale,
spesso da coltivazione biologica, che richiede tempi di
cottura più lunghi rispetto al riso raffinato ma che ha
il vantaggio di contenere più fibre e sali minerali.
Il riso rosso è uno di quegli alimenti “riscoperti” per
le sue proprietà ed i suoi benefici che è in grado di
apportare al nostro organismo. Per anni il riso rosso
integrale era praticamente sparito dalle tavole a causa
del fatto che in commercio era possibile trovare diverse
tipologie di riso con una resa decisamente migliore di
quello rosso.
Recentemente, però, si è assistito al suo ritorno in
auge dovuto principalmente all’assenza di glutine al suo
interno, che dunque rispetto al riso bianco raffinato
mantiene un maggior contenuto di fibre ed è una fonte
importante di sali minerali come il fosforo e il
magnesio:
- Ricco di fibre
- Regola i livelli di zucchero nel sangue
- Antiossidante
- Contiene vitamina B6 e sali minerali come il ferro, il
magnesio e lo zinco
- Riduce i livelli del
colesterolo e dei trigliceridi
- Combatte la
stitichezza senza dover assumere integratori o
lassativi grazie alle fibre del riso.
Non si tratta di una dieta da seguire in maniera
continuata per più di tre giorni, bensì è una pulizia
puntuale dell’organismo che aiuta a compensare gli
eccessi di tutti i giorni.
Il riso rosso integrale è un alimento molto saziante,
quindi non patirete la fame durante la dieta. È
possibile che abbiate voglia di mangiare altre cose, ma
questo non ha nulla a che vedere con l’appetito.
Il corpo, e più precisamente lo stomaco, si sgonfia
facilmente grazie a questa dieta perché viene facilitato
molto il processo digestivo.
Con questo alimento perderete un po’ di peso, ma dovete
continuare a fare attenzione all’alimentazione anche
dopo la dieta per non riprenderlo immediatamente.
Facilita l’eliminazione delle tossine attraverso le
feci, l’urina, il sudore, ecc, e il corpo ha la
possibilità di disfarsi delle sostanze che lo
intossicano.
Il corpo elimina anche l’eccesso di muco, migliorando
malattie croniche come la sinusite.
Potete notare sollievo o miglioramenti nelle malattie o
nei dolori cronici.
Ricetta:
- Riso rosso integrale, preferibilmente biologico
- Gomasio (sesamo tostato e tritato con sale marino)
- Mele (facoltativo o nei casi in cui si soffra di
iperacidità gastrica)
I tempi di cottura del riso rosso sono di circa 35-40
minuti
Il condimento ideale per il riso rosso orientale è a
base di curry e di spezie. Quando lo avrete preparato
potrete condire o accompagnare il vostro riso rosso
integrale con delle verdure di stagione saltate oppure
con dei legumi lessati, ad esempio ceci o fagioli.
Il riso rosso integrale non va
confuso con il riso rosso fermentato.
RISO ROSSO
FERMENTATO (integratori al riso rosso): Attenzione !
Colesterolo alto ? il "naturale" riso rosso fermentato,
perfetto sconosciuto....
Recentissima la pubblicazione sul British Journal of
Clinical Pharmacology (2017), dei dati relativi alle
segnalazioni di reazioni avverse correlabili alla
assunzione di integratori a base di riso rosso
fermentato.
Questo prodotto "naturale, è presente in una quantità
innumerevole di integratori di libera vendita,
utilizzati per ridurre l'ipercolesterolemia (spesso
anche senza controllo medico), talvolta anche da
pazienti intolleranti alle statine, o in associazione ad
altri farmaci o erbe, che oltretutto influenzarne il
metabolismo stesso.
Ritenuto abitualmente più sicuro proprio perché
"naturale", in realtà questo lavoro, condotto dai
colleghi dell'Istituto Superiore di Sanità, passa in
rassegna tutte le sospette reazioni avverse segnalate.
Abbastanza attese in verità, perché sappiamo bene che il
riso rosso fermentato con il fungo Monascus, contiene
statine simili o identiche a quelle di sintesi, e quindi
con simili potenziali effetti collaterali. Tanto che su
52 soggetti un quarto ha necessitato pure il ricovero in
ospedale. E le più importanti reazioni sono registrate
sono:
- dolori muscolari (fino ad un caso di rabdomiolisi vera
e propria);
- aumento del CPK;
- disturbi gastrointestinali;
- danni al fegato (fino a casi di epatite);
- reazioni dermatologiche.
Fondamentale è quindi informare, non solo e non tanto i
pazienti, quanto chi consiglia o prescrive questi
prodotti, soprattutto a pazienti che già abbiano avuto
problemi con le statine. In questi casi infatti
occorrono strategie, anche naturali, ben precise, per
difenderli dai danni muscolari ed epatici. Tre le
considerazioni a margine di questa rassegna:
a) le 52 segnalazioni ricevute possono sembrare in
numero assoluto anche poche, ma c'è da considerare il
bassissimo tasso di segnalazione da parte dei sanitari,
abitualmente inferiore al 10%;
b) quasi tutti i prodotti segnalati contengono 3 mg di
monacolina, mentre oggi la maggior parte dei prodotti
sul mercato ne contiene 10 mg, pertanto c'è da
aspettarsi una reale presenza di danni ben superiore a
quella solo teorizzata;
c) nell'estratto di riso rosso oltre alla monacolina
dichiarata vi sono anche altre monacoline, e questo può
essere un altro motivo di reazioni avverse anche a bassi
dosaggi. Nell' articolo sono descritte in modo
dettagliato tutte le reazioni e tutti i prodotti che
sono stati segnalati.
RISO NERO
Il riso nero è una varietà ibrida di riso integrale
ottenuta secoli fa, nell'antica Cina, mediante la
tecnica dei rincroci di altri tipi di riso. Si presenta
come un chicco un po' più allungato rispetto al riso
comune e di color dell'ebano e una volta bollito assume
una colorazione brunastra. È un riso di tipo integrale
molto ricco di fibre e di sali minerali. Esistono
diverse varietà di riso nero e alcune vengono coltivate
anche in Italia.
Nell'antica Cina il riso nero era
una rarità e le difficoltà nel coltivarlo erano davvero
molte. Per questo motivo rimase per molti anni, fino
agli inizi del XIX secolo, un alimento proibito al
popolino. Era conosciuto come il “riso proibito“, dato
che solo l'imperatore e la sua corte avevano il
privilegio di assaggiare questa prelibatezza.
Scopriamo quali sono le proprietà del riso nero, i
valori nutrizionali e come cucinarlo al meglio.
Rispetto al riso raffinato ha un contenuto maggiore di
fibre e mantiene un quantitativo più elevato di vitamine
e di sali minerali. Il colore nero denota la presenza di
sostanze antiossidanti nel rivestimento dei chicchi di
riso.
Molto utile come fonte di sali minerali il riso nero
contiene soprattutto selenio, ferro, calcio, zinco e
manganese, tutti elementi benefici che supportano il
corretto funzionamento dell’organismo e che, tra
l’altro, ci aiutano a prevenire invecchiamento e
malattie.
Vi sono diverse varietà del
riso nero integrale:
-
Il Venere è una varietà dai chicchi scuri nata
dall’incrocio tra un riso orientale e un riso italiano.
Il riso nero Venere viene coltivato in Italia,
soprattutto in Piemonte.
- Il riso Nerone è una varietà di riso integrale
biologico. Viene coltivato in Italia. I suoi chicchi
sono di colore nero brillante. È ideale per preparare
insalate di riso e piatti etnici.
- Il riso Thai: è il riso tailandese, viene coltivato
tradizionalmente nel Nord del Paese. I suoi chicchi sono
completamente neri, sono croccanti e con la cottura
sprigionano un sapore caratteristico che ricorda le
nocciole. Riesce a crescere anche in terreni semi-aridi.